Una perfetta scusa

¡Necesitamos ayuda, hermano!

Juan parla in spagnolo. Questo può voler dire solo due cose: o stava dando ripetizioni di lingue alla figlia poco prima oppure è arrivato il mio momento di fare qualcosa per il pueblo.

Giuann’ ormai ha la figlia grande, che mal sopporta avere quell’esaurito di suo padre sempre in casa in questo periodo. Temo di sapere qual è l’ipotesi corretta.

Alle prime luci della mattina seguente mi trovo quindi a varcare la soglia di casa.

Alzo lo sguardo: un raggio luminoso di cui avevo dimenticato l’esistenza mi acceca. Mi volto verso destra: a trafiggermi stavolta è uno sguardo nascosto dietro una persiana. Devo muovermi con attenzione: ci sono delatori ovunque.

Rasento il muro e con pochi rapidi movimenti raggiungo la prima tappa indenne.

Scruto l’abitacolo e fatico a riconoscerlo. Un pacchetto di fazzoletti, un seggiolino, una carta Pokémon. Tracce di una vita passata mi rassicurano: è la mia auto.

Stento a trovare l’alloggio della chiave, la manopola delle luci, la retromarcia. Con fatica imparo di nuovo a camminare e sono finalmente in strada.

Ai bordi tracce di detonazioni: margherite, rampicanti, peschi in fiore. La primavera indifferente è esplosa comunque. Il pensiero che i miei figli se la stiano perdendo mi stringe il cuore.

Non c’è tempo per i sentimentalismi: ho una missione da compiere.

Accelero sempre di più: le strade vuote me lo consentono. Arrivo ai settanta chilometri all’ora e mi sembra di star oltrepassando la barriera del suono.

In pochi minuti sono al luogo concordato. Esco dall’auto. Intorno tutto è nebbia. A metà mattina di aprile inoltrato è strano anche qui nella Bassa: è che non ho ancora imparato a far convivere la mascherina con gli occhiali.

Sono davanti alla porta, all’epicentro del caos. Inspiro, espiro.
Urla, lacrime, gente che corre: questo è ciò che mi aspetta oltre la soglia.

Faccio un passo avanti. Sono dentro.

Sono spiazzato. Silenzio. Vuoto. Pulizia. E una voce gentile.

《Motivo della sua presenza?》

Chiudo la bocca e cerco di nascondere lo sguardo da ebete. Rispondo alla sua domanda. La nebbia mi impedisce di vedere il suo volto ma percepisco lo stesso un sorriso.

《Si pulisca le mani lì e poi vada nella stanza in fondo a destra.》

Pochi minuti dopo la mia missione è finita. Non è che fosse poi questa gran cosa. Non è che servisse poi questo gran coraggio. È solo una perfetta scusa per sentirsi ancora vivi. E anche per uscire di casa.

L’infermiera mi saluta sorridendo.

《Grazie per aver donato il suo sangue. Ce n’è un gran bisogno.》

Il carattere da rivoluzionario cubano del volontario dell’AVIS ha meri scopi narrativi e non corrisponde alla realtà: l’AVIS è un’associazione apartitica.
A parte gli scherzi, non c’è motivo per non donare sangue in questo periodo. Anzi: togliete il sedere dal divano e andate.
Per maggiori informazioni, vai alla pagina dell’AVIS sul coronavirus .
Per una volta, la foto è mia.

2 pensieri su “Una perfetta scusa

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