Come ogni giorno, un miagolio intorno alle cinque e tre quarti del mattino mi sveglia. La regina della casa pretende una ciotola piena e una porta aperta verso il giardino.
Era così anche prima ma almeno adesso posso ignorarla per qualche minuto in più: non ho più l’appuntamento improrogabile in stazione.
Eppure, in lontananza, oltre il giardino, oltre la campagna, un rumore mi sveglia del tutto. Un rumore che si diffonde tra le case addormentate. Un ritmo ipnotico e familiare.
Tu tum tu tum. Tu tum tu tum. Tu tum tu tum.
Non ho bisogno di guardare la sveglia: sono le 5.51.
È il treno che precede il mio.
Tu tum tu tum. Tu tum tu tum. Tu tum tu tum.
E poi quella cosa improvvisa: un fischio. Un fischio assai lamentoso, come lontano, nella notte; accorato.
E nonostante la clausura, nonostante le notizie sempre peggiori, nonostante il telelavoro e le telelezioni, da tenere tutte in equilibrio, stringendo i denti e andando avanti, nonostante tutto, lì fuori il treno fischia.
E fischiando porta ancora a lavoro eroi e disgraziati, mentre io sto qui a lamentarmi, nella comodità del mio letto..
E fischiando fa montare un vento, che domani spruzzerà ancora acqua alle navi sulla prora, che sussurrerà canzoni tra le foglie, e che bacerà i fiori.
E fischiando ci porta, oggi, adesso, qui, a Bologna, a Torino, a Venezia, in Siberia, in Congo.
Si fa in un attimo, signor Cavaliere mio. Ora che il treno ha fischiato…
Photo by Jack Anstey on Unsplash
Che quasi quasi manca il treno e il suo fischio…
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Già. Chi l’avrebbe mai detto?
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