Occupo il quarto di quattro posti e mi immergo in un libro bellissimo e devastante.
Faccio però fatica a concentrarmi: ho come compagne di viaggio tre giovani universitarie e hanno un serio problema di cuore. Non vorrei invadere la loro privacy ma tecnicamente e la loro privacy che invade me.
La prima, la più carina, è tesa. Ostenta tranquillità ma le mani traditrici si tormentano continuamente.
La seconda mangia e offre cioccolata, mentre ricostruisce, valuta, organizza.
la terza è stravaccata sul sedile e minaccia botte ad una quarta non presente.
Abbiamo mezz’ora di viaggio: ho il tempo di ricostruire tutta la storia. C’è di mezzo un ex ragazzo, un altro ragazzo, un quasi tradimento e una quarta amica (se così si può dire) che ha fatto la spia.
Le tre devono comunicare con i vari attori della vicenda e lo fanno via WhatsApp.
Ogni parola viene soppesata, limata, commentata: il plot è scritto a sei mani e viene riveduto e corretto continuamente.
E poi c’è una delle tre, la prima, la protagonista, da difendere, forse da consolare.
Vanno così le ragazze, forse da sempre: un’armata che prosegue a testuggine. Io cerco di leggere ma non riesco: mi distrae, quasi mi commuove, la loro forza, che noi maschi quasi non conosciamo.
E mi intenerisce questo vivere via WhatsApp: l’illusione che si possa sempre tutto ponderare, eventualmente correggere.
Almeno finché la ragazza non incontrerà il ragazzo dal vivo (succede ancora, vero?). Li sarà la pancia a dettare le azioni (un bacio? Uno schiaffo?) e non ci saranno amiche al proprio fianco e neanche la possibilità di premere Annulla.
Pericolosissime in gruppo. Non vorrei essere nei panni del ragazzo… che pure, evidentemente, non è incolpevole
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Io invece non vorrei essere nei panni della ragazza spia ☺. Ho raccontato volutamente la storia in modo un po’ confuso ma diciamo che lui è principalmente vittima, povero.
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