Scusi, scende?

Nel mio profondo sono sociopatico. Forse anche in superficie, ad essere sincero: le interazioni più semplici con gli altri esseri umani mi riescono difficoltose: ciò può rappresentare un problema, soprattutto in piccoli spazi condivisi come quello di un treno per pendolari. Soprattutto nei treni per pendolari della mia tratta: una sorta di autobus, con sedie parallele con inevitabile invasione del mio spazio personale.

Un terribile dilemma, ad esempio, è quello che nasce quando devo prima della persona che ho  di fianco: devo chiedergli di farmi passare. Quando succede, gli ultimi dieci minuti del viaggio sono interamente occupati dai dubbi.

Quando chiedergli di farmi passare?
All’ultimo momento? E se poi è lento e non riesco a scendere in tempo? Mi ritrovo alla stazione successiva a maledire le disabilità motorie dei miei compagni.
Oppure ampiamente in anticipo? Poi mi ritrovo come un cretino un’ora prima davanti all’uscita (i sociopatici presuntuosi come me sono convinti che il mondo li stia osservando e giudicando, generalmente male).

E cosa chiedergli di preciso?
“Mi fai passare?”. Troppo secco, potenzialmente scortese.
“Gentilmente, avrei bisogno di uscire: la prossima stazione è la mia. Sarebbe tanto gentile da lasciarmi passare?”. Troppe parole di seguito rivolte ad uno sconosciuto per un animale così poco sociale come me.
“Potrei scendere?”. Certo, sta a vedere che è un sequestratore e mi risponde negativamente.

E’ curioso come una persona sposata e con prole come me, che ha quindi imparato a dire frasi ben più complesse come “Ti amo” o “Sei incinta, vero?”, poi si perde in dinamiche sociali talmente semplici.

In qualche modo, comunque, alla fine trovo sempre una frase che mi sembra perfetta. Peccato che, al momento giusto ciò che esce fuori dalla mia bocca è un incomprensibile mugugno. Miracolosamente di solito gli altri esseri umani sono più svegli di me, capiscono, si adeguano e io posso scendere trionfalmente alla mia fermata.

 

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