Agreste è un ridente paese di campagna, che ha la pazienza di darmi ospitalità da qualche anno.
E’ una paese ridente nel senso letterale: i suoi abitanti sono pacifici, hanno una predisposizione naturale alla socialità e una predilezione per feste e sagre. Insomma: un luogo che da adolescente avrei odiato ma che ad una certa età si impara ad amare (la “certa età” solitamente è ottant’anni; nel mio caso trenta).
Eccomi quindi all’ennesima sagra di inizio o fine primavera (o della patata, della cipolla, del canguro tonnato: fa lo stesso). In lontananza vedo arrivare una signora.
– Guarda quella signora – dico a mia moglie.
– La conosci?
– E’ di Foggia. Ha due figli, ormai grandini. Lavora a Millemondi anche lei, in un negozio di abbigliamento, in Via Garibaldi. Sai che fa spesso le vacanze dalle tue parti? Ama la neve, anche se il marito non condivide questo amore. E’ simpatica: non impegnata socialmente o politicamente ma almeno non è razzista e continua ad andare a votare, pur indignandosi; di questi tempi è gia tanto. E poi…
– Scusa ma com’è che la conosci così bene e non me l’hai mai presentata? – mi interrompe mia moglie con una punta di gelosia.
– Perché non la conosco: non so neanche come si chiama. Ma viaggia sempre in treno con alcune amiche. E ha una gran chiacchiera.
Come avvicina alla gente il treno…
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Poi io sono anche un timido asociale. Fossi un altro avrei già conosciuto mezzo treno.
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Figurati. Io sfuggo la socializzazione da treno come la peste. Ma forse ci perdo
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Una collega mi ha detto: “Fai benissimo a non socializzare in treno. Io ho iniziato a farlo per disperazione quando ero in gravidanza e poi in allattamento perché qualunque rapporto sociale andava bene. E ora le bimbe sono grandi ma io in treno non riesco più a leggere un libro” 🙂
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