Occhi

Vediamo tutto: la nostra retina registra ogni ordinario, ogni guitto, ogni eccezione; è poi il cervello quel pigro brutto che concentra su quest’ultima ogni attenzione.
E se vivi un anno del genere, dove si ribalta ogni concetto, questo cervello, poveretto, cosa fa? Può solo notare ciò che in un tempo antico era chiamata normalità: le persone abbraciate, ravvicinate, i saluti, gli amici senza mascherina, gli sputacchi, gli starnuti.

Ma se ti fermi un attimo e osservi davvero, dietro gli spauracchi consunti, se fai la conta di questi sconosciuti congiunti, ti accorgi cos’è il falso e cos’è il vero: quasi tutti in realtà rispettano le indicazioni, stanno distanziati, indossano le protezioni, che le teste di minchia sono poca roba, che siamo un esercito di ninja bardati e pronti alla lotta.

Se li apri, gli occhi, noti ancora un’eco dei tempi andati: non ci sono più volti, è vero, ma ci sono le persone che una volta li hanno indossati. E sopra quei volti, sopra quei pezzi di cotone, ci sono due fessure affacciate sull’anima come un portone.
Occhi blu, grigi, castani, verdi, rossi. Occhi da gatti, occhi da cani, occhi fermi, occhi mossi. Occhi bellissimi, occhi strabici, occhi distratti, occhi attenti. Occhi sognanti, occhi contenti, occhi addormentati, occhi spenti.

Occhi che hanno letto un milione di libri insieme ad occhi che non sanno nemmeno parlare. Occhi aperti nella notte triste, che prima o poi ha da passare.
Occhi aperti che ti fanno contento e che sanno benissimo cosa fare nella foschia di quest’inverno che un giorno potremo dimenticare.

Foto di Ani Kolleshi su Unsplash

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