«No, perché è un virus intelligente, eh!»
Dondola la testa, squadra i suoi compari e sorride. Lui sì che la sa lunga. Due dei suoi annuiscono convinti. La terza, l’unica ragazza, gli dà le spalle e preferisce il finestrino.
«E’ un virus intelligente» ripete. «Alle 18 stacca e va in giro per il centro. Oh, si spiega solo così l’obbligo di usare di sera ‘sta cazzo di mascherina.»
Dà una gomitata al compare più vicino, che ride sguaiatamente.
Guardo il gruppetto. Sono tutti sui quaranta: a mio avviso un po’ troppo grandi per inscenare ancora questo clima cameratesco.
Mi concentro sul capo branco. Ha un mento flaccido e un naso ricurvo. Particolari che un tempo sarebbero stati insignificanti ma che oggi saltano agli occhi: non porta la mascherina.
Nessuno dei maschi la porta. Della donna non so dire: rimane fissa sul panorama, ma intuisco degli elastici tra i biondi capelli lunghi.
«Mo soccmel!» sospira lui e tira in su il volto. Chiude gli occhi e scuote la folta chioma bianca, con fare teatrale. «Quand’è che gli italiani si sveglieranno!»
La donna finalmente si gira, lo osserva in silenzio. La parte di volto visibile deformata da un accenno di ripugnanza.
E infine sbotta, con altro tono, con altro accento, con un vero distanziamento sociale: «Miche’, ma quand’è che ti svegli TU! Non è il virus che è intelligente: sì ttu ca sì scemo!»
Nell’immagine le due maschere del teatro latino. Mosaico del I secolo (Musei Capitolini). Foto da Wikipedia.
concordo con la viaggiatrice, ma se le si vedono le labbra allora nemmeno lei la portava la mascherina. O era metaforico?
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No, è che dovrei smettere di scrivere di corsa 🙂
Corretto.
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