Riconosco quei ricci biondi, quella postura da ballerina, quell’eleganza. Ma la vedo da dietro, a un metro di distanza, coperta da una mascherina. Ed è fuori contesto, per non parlare di quanto io sia poco fisionomista.
Nel dubbio sto sulle mie e mi dedico a mio figlio: è la prima volta che esce dopo non si sa quanto e sembra tornato a quando aveva due anni.
Prima il vento in faccia dal finestrino (lui che ha sempre odiato andare in macchina) e ora le piccolezze della campagna. Una farfalla, un “muro con un brufolo”, un’antica campanella arrugginita. Minuscole testimonianze di un miracolo di cui si era dimenticato: il mondo ancora esiste.
La signora inizia le sue richieste. Sento la voce e sono sempre più convinto di non sbagliarmi. Ne parlo a bassa voce a mio figlio, anche un po’ per distrarlo dalla sua prima esperienza con la mascherina, che inizia a non essere più così entusiasmante.
«Sai che forse conosco quella signora?»
«Chi è?»
«Hai presente quella volta che sono arrivato tardissimo perché il treno non è più ripartito? Ecco: è grazie a lei che sono potuto tornare a casa.»
La signora raccoglie la cesta di verdura che le ha preparato il contadino e si volta per portarla in macchina. Non ho più dubbi: è proprio lei.
«Buongiorno, anche lei qui!»
«Già, che bella sorpresa. Ne approfitto subito: com’è la situazione in treno? Lunedì tornerò a viaggiare e non so cosa mi aspetta.»
«Non glielo so dire, mi dispiace. Faccio l’informatico e mi sa che resterò in telelavoro ancora per un po’.»
«Beh, allora glielo dirò io la prossima volta che ci vedremo qui.»
Mi saluta. La guardo allontanarsi e ho lo stesso stupore di mio figlio: i pendolari esistono ancora.
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