Apocalisse adesso (Pt. 2)

《 Vai alla Parte 1

Mando un messaggio di speranza a casa: 《Il treno è partito. La linea ferroviaria è ancora interrotta ma alla fermata Rivera continueremo in autobus. Vi voglio bene》.

Faccio appena in tempo a spedirlo che il treno entra in un sottopassaso, fa la sua prima fermata e resta lì, non riparte.

Dal primo vagone si apre una porta.

Mi piacerebbe poter dire che da lì entra il capotreno Hartman che inizia a gridare: 《I bei tempi dei di****ni alle vostre Mary Jane con le loro belle mutandine rosa sono finiti! Siete pendolari! Siete sposati al treno, quel coso fatto di acciaio e ferro, e rimarrete fedeli soltanto al lui!》.

Sarebbe divertente. E catartico: avrei un nemico su cui scaricare la rabbia.
Ma da quella porta arriva invece Roberta, la capotreno neoassunta, più sperduta di noi, con un telefono inutile in una punto senza segnale, schiacciata tra una massa inferocita che pretende spiegazioni e un’azienda che l’ha lasciata sola e spiegazioni non ne dà.

Corre a testa bassa a chiudere le porte e poi si rinchiude disperata in testa al treno, mandando in avanscoperta la solita voce registrata. Se non altro la voce è rassicurante: stiamo per ripartire e a Rivera ci sarà il trasbordo previsto.

E così è: il viaggio riprende e continua senza altri intoppi fino a Rivera. Lì scendiamo, ci incolonniamo e avanziamo, stanchi, tristi e rassegnati come tutti i deportati.

Finché qualcuno più sveglio di me alza lo sguardo e capisce la trappola. Inizia a correre. La ragazza che gli stava accanto lo imita. Poi anche l’uomo d’affari, la segretaria, il padre di famiglia: nel giro di un minuto c’è una folla in preda al panico.

《Perché corrono?》 mi chiede una ragazzina sui sedici anni, con gli occhi lucidi.

《Follia collettiva》 le rispondo. 《Tu però resta calma》. La fisso negli occhi. 《Ce la faremo, te lo assicuro》.

Poi alzo lo sguardo e capisco: all’ingresso della stazione c’è un autobus. Uno. Uno soltanto.
Ci sono i passeggeri che normalmente stanno su tre treni, soppressi tra scioperi e incidenti.
E un solo autobus.

《Alla fermata Rivera ci sarà un autobus che vi aspetta》 aveva detto la voce sintetizzata. Non pensavamo andasse interpretata alla lettera.

All’ingresso della stazione la situazione degenera in fretta.
Chi è riuscito ad entrare si trincera, pronto a ricevere una sassaiola.
Chi è davanti alla porta urla contro l’autista che piagnucola. 《Non è colpa mia!》 si dispera.
Chi è più lontano si sposta davanti all’autobus. O tutti o nessuno! Lo sguardo fiero di chi sa benissimo cosa fare.

Guardo la scena attonito.

《Sei di Agreste?》

È una voce sconosciuta dietro di me.
Mi volto. Una signora sui cinquant’anni, composta, ben vestita e dallo sguardo determinato sta chiedendo proprio a me.

《Più… o meno》 balbetto senza capire. 《Una frazione… abito…》.

《Lo so》 sorride lei. Mi appoggia una mano rassicurante sulla spalla. 《Ti vedo ogni mattina alla fermata》. Con la testa fa un cenno verso la fine della via. 《Andiamo via di qua, prima che sia troppo tardi》.

Maledico la mia pessima memoria fotografica: non ho idea di chi sia.
Tentenno un secondo.

《Ti spacco il vetro!》 urla qualcuno contro l’autista. Fanculo le remore dei tempi di pace: andiamo!

Iniziamo a correre, non so neanche verso dove e perché.
Ho solo un’ultima remora. Mi fermo. Mi volto. Lancio lo sguardo più in là possibile, cercando di abbracciare tutta la folla.

《La sedicenne non è di Agreste》 dice la signora intuendo il mio pensiero. 《Dimenticala: ormai è spacciata》.

《E Roberta?》

La signora non accetta ulteriori interruzioni. 《Non rendiamo vano il sacrificio del capitano. Su, vieni!》

Sospiro. Torno a seguirla e finalmente mi spiega: 《Ho chiamato rinforzi. Sta venendo mio marito in auto. Puoi venire con noi》.

Mi volto un’ultima volta ad osservare la barricata che stanno creando e poi continuo la corsa. Voltato l’angolo riprendiamo fiato e ne approfitto per scrivere le mie volontà: 《Sto salendo in macchina con una sconosciuta. Non è come sembra. Ma se entro un’ora non sono arrivato, porta il lutto per sei mesi e poi trova un nuovo padre per i nostri figli》.

Fu così che mi salvai. Fu cosi che riabbracciai i miei bambini.
Ed è così che ora posso raccontarvi la mia storia, affinché nessuno dimentichi.

Perché se e quando partiranno i lavori di interramento della linea, potrebbe essere così tutti i giorni.

(Fotogramma tratto da Salvate il soldato Ryan di Steven Spielberg)

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