Galaverna

Quando ero piccolo la neve non esisteva.
O meglio, aveva lo stesso grado di realtà di fate e folletti: esisteva, si, ma solo dentro i libri.Da adulto, trasferito al nord, ho imparato a conoscerla, a lasciarmi incantare da lei, a bestemmiare per lei e a iniziare a vedere i film di natale con altri occhi: i suoi.

Con un altro agente atmosferico ho seguito invece un processo diverso: da bambino ne ignoravo l’esistenza, poi l’ho vissuta e finalmente, da poco, le ho saputo dare un nome.

La galaverna.
Magica come la neve, bella come la Luna e terribile come un esercito schierato in battaglia: non riesco a spiegarmi come mai abbia così poco spazio nella letteratura.

Raggiungo la stazione un passo dietro l’altro e, dopo mesi, le mie scarpe non sono bagnate, nonostante parte del tragitto lo abbiano fatto sull’erba. Mille gocce di rugiada hanno creato un bozzolo intorno al mondo, proteggendo me e lui.Il paesaggio che osservo dal finestrino è mutato: la galaverna ha cristallizzato la campagna e la nebbia ha reso sfumati gli orizzonti infiniti di questa maledetta pianura padana.

A vederlo così, il mondo sembra un posto freddo, sì, ma anche tranquillo, dove ci si può accucciare e nascondere e dove il tempo si è quasi fermato e tu puoi andare con calma e con i piedi asciutti.
Per un istante ritorna la voglia di vivere ad un’altra velocità.
Passano ancora lenti i treni per Millemondi e il mio augurio per il prossimo anno, per me che scrivo e per voi che leggete, è un po’ di galaverna in più.

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