Nascondino

Lui ha tre anni e due doni preziosi: un paio di occhi grandi e una macchinina.
Lei di anni ne ha cinque, anche lei con il suo carico di doni: una sconfinata curiosità e un sorriso aperto.

Dietro di loro la madre: capelli neri coperti da un velo ancora più scuro e una lingua coperta da errori che i figli non hanno ereditato.

《Dove fermata ospedale?》chiede la donna al capotreno che le sta facendo il biglietto.
《Cosa?》 domanda lui di rimando.
《Dov’è la fermata più vicina all’ospedale, per favore?》 traduce la bimba.
《Tra cinque fermate: Millemondi Zamagni.》 risponde il capotreno mentre dà il resto.
《Grazie. Però dato dieci euro troppo.》 fa notare la madre sorridendo timidamente.

Il capotreno si prende i soldi in eccedenza e li lascia passare, guardando i bimbi con tenerezza e il velo della madre con disprezzo. Lei sente quegli sguardi e non li vorrebbe, né quelli buoni né quelli cattivi.

Sposto lo zaino che ingiustamente occupa il terzo posto che spetta loro. Lei insiste tanto – troppo – affinché io non lo faccia. Sembra quasi impaurita dal fatto che io abbia notato che esistono.

Alla fine ho la meglio e si siedono. Il viaggio prosegue: il bimbo è a bordo della sua macchina roboante, la bimba è attaccata al finestrino ad ammirare qualunque sterpaglia e a fare domande in una lingua a me ignota; la mamma è impegnata ad impedire loro di fare qualunque tipo di rumore, anche impercettibile.

La loro fermata arriva, scendono. Il treno riparte e li vedo diventare sempre più piccoli: finalmente invisibili, proprio come la madre avrebbe voluto.

Mi chiedo come cresceranno quei due piccoli: si ostineranno a parlare, a domandare, a vivere, in quella famiglia, in questo mondo, in questa Italia?
Lui saprà continuare a viaggiare lontano con la sua macchinina o quei due occhi diventeranno stanchi e incattiviti?
Lei saprà mantenere quel sorriso aperto o le verrà nascosto con un velo?

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