Il treno rivelatore

Sì, è vero. Sono nervosissimo, spaventevolmente nervoso e lo sono stato sempre.
Voi invece pensate che io sia il classico furbetto italiano. State attenti! Ascoltate il mio  racconto e capirete che non è così.

Credo che la colpa sia del mio collega! Certo, è colpa sua!
Dovevo prendere un Frecciarossa, avevo già il biglietto. Voi mi credete un furbetto. E un furbetto comprerebbe il biglietto online in anticipo, in un treno costoso?
E’ il destino che ha voluto diversamente: la riunione è andata per le lunghe e ho dovuto ripiegare su un regionale, preso da una minuscola stazione sconosciuta. Mi ha accompagnato questo collega in macchina. Mi ha portato fin lì ed è subito andato via.
Sarà evidente anche a voi che mi odia. Teme che io voglia scavalcarlo oppure lui vuole scavalcare me. Sta di fatto che mi ha abbandonato lì: se non mi odiasse, mi avrebbe aiutato a fare il biglietto. Ma mi odia, come tutti gli altri colleghi, del resto.

Voi mi credete furbetto! Ma se mi aveste visto! Se aveste visto con che minuzia ho cercato una macchinetta per fare i biglietti! Con che pazienza, con quale ansia, con quanta determinazione mi sono messo alla ricerca! Ma tutto ciò che sono riuscito a trovare è stato un rudere che palesemente non funziona da anni.
E il treno dovevo prenderlo. Dovevo. Così sono salito, ho cercato un posto isolato, mi sono seduto.
Scommetto che voi pensate che ho cercato un posto vicino al bagno, dove nascondermi in caso di controlli. O almeno un posto nel vagone più affollato: è risaputo che i controllori non passano dove ci sono troppi passeggeri ammassati. Ma no, cari miei. Mi sono seduto in un vagone centrale, con poche persone, in un posto senza nessuno accanto.
D’un però intesi un gemito: era un passeggero dietro di me, arrivato di corsa all’ultimo momento, che ha deciso di sedersi proprio accanto a me.
Ansimava ancora. Ah, io lo conoscevo bene quel rumore! Quasi sempre anch’io prendo il treno all’ultimo momento, anche se cerco sempre di uscire di casa in anticipo.
Cercai di ignorarlo. Aprii un libro per isolarmi nella lettura.
L’aprii dunque, soltanto che l’occhio del Passeggero cadde sulla copertina:
– Il mio nome è Rosso! – esclamò
– Prego?
– Il mio nome è Rosso, Pamuk. Gran bel libro! Le piacciono i delitti, eh?
Allude? Bofonchio una risposta incomprensibile.
– Scusi, ho il vizio di spiare le letture degli altri. Ma vedo che non vuole essere disturbato, la lascio in pace.
Tornai alla lettura, sperando di non avere più contatti umani fino all’arrivo. Ma tutto è stato vano. Tutto vano, perché il Controllore che s’avvicinava era passato dinnanzi a noi con la sua grande ombra nera, e così aveva avviluppato la sua vittima.

– Tra quanto arriveremo a Millemondi?
E’ il Passeggero che parla. E il Controllore risponde:
– E’ la prossima. Ancora pochi minuti.

Allora sono salvo. E il Controllore non sta facendo controlli. Ah! ah!
Sorrisi – perché che cosa avevo da temere? – Nell’entusiasmo della mia fiducia feci anche una battuta:
– Un treno in orario! Che evento!
Il Passeggero rincara:
– Da segnare sul calendario. A Millemondi, poi, la città italiana senza regole per eccellenza. Quanti treni arrivano in orario a Millemondi, controllo’?
– Ah, ma senza regole non sono mica i treni – replica il Controllore – sono le persone. Sa quanti ne trovo senza biglietto ogni giorno?
– Ah sì, ne vedo tanti anch’io. Poi vengono a dire che si sono dimenticati, che sono sbadati oppure che non fanno il biglietto per precisa scelta politica…
– Sì sì, è vero. E il mio stipendio chi lo paga?

Sentii che diventavo pallido, e desiderai che se n’andassero. Mi doleva la testa, e mi sembrava di sentirmi un tintinnio nelle orecchie; ma quelli restavano sempre seduti e chiacchieravano sempre.
Il tintinnio divenne ancora più distinto; persistette e divenne ancora più distinto. Chiacchierai più abbondantemente per sbarazzarmi da quella sensazione; ma non mi lasciò, e prese un carattere del tutto deciso, tanto che alla fine m’accorsi che il rumore non era dentro le mie orecchie.

Senza dubbio allora divenni pallidissimo; ma io chiacchieravo ancora più lesto e più forte. Il rumore aumentava sempre – ed io che potevo fare? – Era un rumore sordo, soffocato, frequente, assai simile a quello che fa solitamente il treno che viaggia sui binari.
Ma era più forte, era accusatore: il treno sapeva.

Respirai laboriosamente; i due non sentivano ancora. Parlai più lesto; con più veemenza; ma il rumore cresceva, incessante. M’alzai, e disputai su delle piccolezze, in un diapason elevatissimo e con una violenta gesticolazione; ma il rumore cresceva, sempre. Perché non se ne volevano andare?

La voce sintetica dagli altoparlanti annunciava la stazione di Millemondi. Ma il rumore dominava sempre, e cresceva indefinitamente. Diventava più forte, più forte! Sempre più forte! E quegli uomini discorrevano sempre, scherzavano e sorridevano. Ma era mai possibile che non sentissero? Dio onnipotente!

No, no, sentivano! Sospettavano! sapevano! Si facevano un gioco, un divertimento del mio terrore! Lo credetti e lo credo ancora. Ma tutto, tutto era più tollerabile di quella derisione! Non potevo sopportare di più quegli ipocriti sorrisi! Sentii che bisognava gridare o morire! – e ancora, e sempre, lo sentite? – ascoltate! più forte! – più forte! sempre più forte!

– Miserabili! – gridai – Non fingete più! Confesso! Non ho fatto il biglietto!

 

Questo racconto partecipa all’EDS (Esercizio Di Scrittura) Rosso come il peccato, de La Donna Camel.

Le regole:

  • Un peccato
  • Qualcosa di rosso
  • Tre personaggi
  • Qualche battuta di dialogo

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